martedì 4 ottobre 2016

"VERITA' ED ESPRESSIONE ARTISTICA, SONO ASSOLUTAMENTE SINONIMI" . FRANCESCA FINI per LIGHT-UP MAGAZINE!

di Mina Jane e Alex M. Salgado

In occasione della proiezione evento di "Ofelia non annega" di giovedì 6 ottobre all' APOLLO 11 di Roma, abbiamo raggiunto la regista Francesca Fini per una breve e intensa chiacchierata sul suo cinema.

Secondo lei il cinema è più un'esperienza estetica o un mezzo di intrattenimento? 
Il cinema inteso come forma d’arte non può essere mai intrattenimento nel senso che attribuiamo comunemente a questo termine. Intrattenimento come evasione; qualcosa che ti tiene impegnato per un tot di tempo - e rigorosamente solo per quel tot - utile a resettare il cervello e a scaricare la pesantezza del vissuto in un’ora e mezzo di sospensione dell’incredulità. Questo intrattenimento diventa rituale collettivo che ha sicuramente il suo valore sociale, fornendo una modalità piacevole di passare il tempo che separa momenti più impegnativi della nostra giornata (e allora anche il popcorn acquista un suo senso, e lo dico senza alcun intento dispregiativo, dal momento che i cibi legati ai rituali sociali sono uno dei campi della mia indagine di artista. E che il classico polpettone blockbuster sia immancabilmente accompagnato da un chicco dell’alimento primario del nuovo mondo, detonato in una nuvoletta di amido insipido, mi sembra significativo da un punto di vista simbolico). In ogni caso, io mi faccio intrattenere come tutti, seguo anch’io il rituale sociale del cinema come intrattenimento - da semplice spettatrice. Però, provenendo dal mondo dell’arte contemporanea - e in particolare dalla performance art e dalla videoarte - il tipo di cinema che voglio fare è necessariamente esperienza estetica. Estetica, simbolica, non lineare e non narrativa. L’esperienza estetica è “trattenimento" e mai “in-trattenimento". Non ti trascina mai dentro (intra-) completamente. Invece ti tiene sulla soglia a sbirciare, fornendoti chiavi alternative - a volte effimere, bizzarre e deformate - per scardinare la realtà che ti circonda. Mi viene in mente Robert Landy (“Drama Therapy”) e la sua definizione di “distanza estetica”, vero strumento della catarsi intesa come comprensione sentimentale, in opposizione al concetto di ipodistanza che genera confusione e sofferenza.
 
Nella rappresentazione documentaristica secondo lei la verità ha sempre la priorità o conta di più la libera espressione artistica? 

Verità ed espressione artistica, nel mio lavoro, sono sinonimi. Lo sono da sempre. Io mi sono allenata alla palestra della performance art, dove tutto quello che accade dal vivo è reale - hic et nunc - e dove nessuno recita un ruolo (Carmelo Bene diceva che lui non recitava, perché re-citare significa citare qualcun altro). Io sono una performer pura, e quando agisco lo faccio in mio nome; sono me stessa sempre, portatrice sana del mio corpo nell’unità cruciale di spazio e di tempo, e tutto quello che faccio segue il tracciato di un’intenzione che può essere contraddetta, tradita, ignorata e abbandonata ad ogni istante. Non ci sono copioni, scalette o effetti speciali. Anche quando costruisco scenari e set complessi, con una fotografia pensata nei minimi dettagli, e disegno maschere e costumi elaborati (come in “Ofelia non annega”), l’azione che scaravento poi - al centro di questo costrutto maniacale - è sempre autentica, imprevedibile e spalancata all’errore simbolico (che vado cercando come la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno). 
L’agire - che è l’unica cosa che conta nella performance art - potrebbe evolversi, trasformarsi e improvvisamente condurti altrove. Gli straordinari performer*, che "non re-citano” ma “agiscono” nel mio film, subiscono una sorta di vestizione rituale preliminare, e poi vengono sobbarcati di una missione. A volte si tratta di un compito faticoso fisicamente, che devono compiere per ottenere qualcosa (questa la loro “intenzione”). A volte si tratta di azioni apparentemente prive di senso e al limite del ridicolo, che scatenano in loro una fatica altra, quella del confitto con il proprio ego. Il modo in cui riusciranno a far propria l’intenzione e a scavalcare questi ostacoli fisici e mentali, sarà il risultato autentico della performance e la vera sceneggiatura del film. Perché il performance-based film (il cinema basato sulla performance art) vive di intenzioni e non di motivazioni; il performer chiede “cosa devo fare”, non “chi sono, come mi devo sentire”. Il "chi sono” qui non esiste; nella performance art sei sempre te stesso. Non si tratta solo di cinema di improvvisazione; è un linguaggio altro che si basa su pratiche e dinamiche specifiche. 
C’è un momento del film in cui mi trovo in un centro rottami a Latina; alle mie spalle una montagna di pneumatici neri impilati da una gru d’un giallo minaccioso. Io applico sulle braccia degli elettrostimolatori e li regolo al massimo; i miei muscoli sono improvvisamente attraversati da spasmi incontrollabili, in una sorta di Parkinson auto-inferto. A quel punto comincio a truccarmi il viso, ma non riesco a calibrare i movimenti della mano e mi trasformo in una maschera tragica. La mia intenzione è truccarmi, l’ostacolo sono le contrazioni muscolari che rendono l’azione quasi impossibile; la “scena” si costruisce nella documentazione cinematografica di questa lotta autentica, di questa fatica che si consuma nell’unità di spazio e di tempo. Ripeto, verità ed espressione artistica, nel mio lavoro quotidiano, sono assolutamente sinonimi.

* i performer che hanno lavorato nel film "Ofelia non Annega": Giulio Bianchini, Daniela Cavallini, Marzia De Maria, Sylvia Di Ianni, Francesca Fini, Marco Fioramanti, Alessia Latorre, Letizia Lucchini, Alessandro Parise, Simona Sorbello, Inanna Trillis, Ilaria Campiglia, Chiara Catalano, Marilena Di Prospero, Ivan Macera, Nunzia Picciallo, Daniele Sirotti, Dario Spampinato

La donna, il teatro shakespeareano e l'arte contemporanea: quale è stata la fonte di ispirazione che Le ha consentito di coniugare insieme questi elementi? 
Nel mio film Ofelia è tante donne diverse, per età, fattezze, colori, storie di vita, fisionomie. Tutte portano nella mia storia la propria storia personale e trasformano Ofelia in qualcosa di altro. E allora Ofelia diventa a volte la dura e ieratica Gertrude, a volte l’ingenua Dorothy Gale del Mago di Oz, a volte la curiosa Alice, che nella performance finale del film si addormenta sotto un albero. Ofelia è l’eterna musa, l’eterna eroina, e la metafora dell’arte che lotta per sopravvivere.

Quali sono i suoi prossimi progetti?
Sto lavorando ad un nuovo film che si chiama “Men at war”. Come “Ofelia non annega”, il film è un ibrido che giustappone immagini d’archivio e azioni che avvengono nell’immanenza della performance art. L’archivio in questo caso sarà quello di pubblico dominio della fondazione Prelinger, che documenta la storia americana degli anni ’50 e ’60. E’ un film che parla dello stereotipo della virilità nella cultura occidentale, ed è ispirato al caos sociale e politico che gli Usa stanno vivendo in questo momento.

----
OFELIA NON ANNEGA è un film-collage, un film stratificato, un film fatto di ibridazioni. Il film è stato realizzato integrando materiali tratti dall’Archivio dell’Istituto Luce - selezionati tra quelli che raccontano la società italiana tra gli anni ’40 e ’70 - e videoperformance originali che Francesca Fini ha elaborato su ispirazione del repertorio stesso. Il film tesse una trama di linguaggi apparentemente incompatibili, accomunati però dal macro-tema rappresentato dal concetto di avanguardia artistica: come quest’idea viene interpretata da un’artista che la vive come pratica quotidiana, e come è stata invece articolata nel racconto dell’Istituto Luce, custode degli aspetti sacri e profani della società italiana. Al centro di tutto c’è un’Ofelia diversa da quella della tradizione letteraria: non l'eterna adolescente fragile, ma tante donne diverse per colori, fattezze, età. Un’Ofelia moderna che non si perde nei boschi di Danimarca, ma nei taglienti paesaggi laziali: dalle suggestioni industriali del Gazometro di Roma al Centro Rottami di Cisterna di Latina, dalle aride cave di tufo di Riano alla Villa Futuristica della famiglia Perugini a Fregene. Un’Ofelia che alla fine rinuncia al suo destino di eroina romantica per diventare una “persona normale”.

Regia Francesca Fini 

Performer Giulio Bianchini, Daniela Cavallini, Marzia De Maria, Sylvia Di Ianni, Francesca Fini, Marco Fioramanti, Alessia Latorre, Letizia Lucchini, Alessandro Parise, Simona Sorbello, Inanna Trillis e con la gentile partecipazione di Ilaria Campiglia, Chiara Catalano, Marilena Di Prospero, Ivan Macera, Nunzia Picciallo, Daniele Sirotti, Dario Spampinato
 

Guarda il Trailer
Visita il sito web del film

Nessun commento:

Posta un commento