martedì 18 ottobre 2016

Il dramma del terremoto messicano al Festival del Cinema di Roma #RomaFF11

di Agostino Devastato

Secondo film proveniente dal Messico in questa 11° Festa del Cinema di Roma, 7:19 di Jorge Michel Grau racconta un episodio che ha scosso il Messico nel 1985: uno dei terremoti più devastanti della storia. 
La mattina del 19 settembre, in un edificio governativo viene convocata una riunione straordinaria a cui parteciperà tutto il personale al completo, dagli alti funzionari fino agli addetti alla pulizia. Un lungo piano sequenza iniziale introduce con leggerezza il clima quotidiano, abitudinario che esiste tra i dipendenti. Il custode del palazzo, Martìn, è l’uomo che dà a tutti il buongiorno, con la sua andatura zoppicante e la sua semplicità. La macchina da presa segue gli spostamenti dei personaggi e raccoglie un panorama umano variegato, in cui si staglia oltre a Martìn, Fernando, l’alto dirigente, il super capo. La scossa di terremoto colpisce il palazzo alle 7:19, tutti sono sommersi dalle macerie. Tra i sopravvissuti, nel buio angosciante dei nove piani del palazzo crollato, ci sono sia Martìn che Fernando. Una piccola torcia è l’unica fonte di luce con cui i due riescono a vedersi, mentre intorno a loro dal silenzio di morte emergono le voci di altri personaggi.
Tra le cose più interessanti di 7:19 c’è l’abilità con cui il regista riesce, attraverso un’ottima sceneggiatura, a creare una sorta di radiodramma al buio, un’intensa tessitura di dialoghi tra voci senza volti, senza corpi, che riescono a far scaturire un’umanità varia e imponente, anche in quei personaggi che solitamente sono rappresentati senza umanità, come l’alto funzionario Fernando. I personaggi riescono ad essere vivi, sfumati, senza ricorrere al luogo comune. La situazione è ricostruita con particolare precisione. La tensione è sempre presente anche se spesso e volentieri la narrazione si rende leggera e ironica, e i momenti lievi non mancano. La tragedia che accomuna i personaggi non riesce però ad azzerare le gerarchie della vita quotidiana, il capo si crede sempre il capo ma il custode e gli altri semplici dipendenti non ci stanno. Sono tutti sommersi dalle macerie e in disperata attesa di aiuti, sono tutti uomini destinati a morire, i rancori emergono e la sincerità stravolge i loro rapporti.
Il tipo di straniamento dalla situazione drammatica, una costruzione narrativa a “quadri” e soprattutto il complesso rapporto tra il potente Fernando, e l’uomo del popolo Martìn, oltre ad essere elementi tipici del teatro di Brecht, sono anche la forza di questo film. La leggerezza e l’ironia impatta con la drammaticità dell’evento, ma nonostante ciò l’effetto di grande tragedia e di enorme vicinanza umana tra i personaggi, alla fine, resta intatto. È un film interessante 7:19, che proviene da una cinematografia in evoluzione, soprattutto se si guarda all’aspetto tecnico della messa in scena. Oltre al Messico altri Paesi latini e sudamericani stanno sfornando ottimo cinema, sia a livello industriale che come opere più personali e semplici. In questo caso si resta col fiato sospeso per 94’, ma si riesce anche a ridere e a riflettere


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