di Mina Jane
Cafè society – L’ultimo film di Allen: un’espressione che ormai ci stiamo abituando ad usare più o meno un paio di volte l’anno. Sarà un thriller alla Match point, una commedia alla Midnight in Paris o forse tutt’e due in uno come il precedente Irrational man?
Cafè society è una di quelle belle commedie in costume
d’epoca, o per meglio dire vintage, un po’ nostalgica, rievocativa, certamente
ironica e brillante, ma che presa nel suo insieme risulta decisamente sciapa.
Ci sono film che riescono a
divertire con poco pur non proponendo nulla di interessante: Cafè
society non è uno di questi. Quando si entra in una sala consapevoli di
stare per assistere al nuovo film di Allen, di qualunque genere esso sia, le
aspettative sono sempre alte, nonostante questo regista sia riuscito a
realizzare un film come From Rome with
love. E in effetti Cafè society per i primi 40 minuti di
film non delude. La storia del giovane Bobby, un eccezionale Jack Eisenberg, coinvolge. Il ritmo è
quello giusto, quello ironico e incalzante di Allen, in cui si fa fatica a star
dietro ai dialoghi, così gustosi che si vorrebbe avere la sceneggiatura tra le
mani per riuscire a non perdere o dimenticare nemmeno una battuta. La musica
trascina in atmosfere d’altri tempi e la fotografia realizza alla perfezione il
contesto narrativo dell’epoca. Insomma tutto, dai personaggi, agli ambienti ai
dialoghi esalta la curiosità e al tempo stesso soddisfa ogni esigenza di
realismo.
Lo spettatore è realmente
coinvolto nel clima della Hollywood degli anni ’30, ascolta Steve Carrel, che in Cafè society interpreta il ruolo del noto
produttore cinematografico Phil, citare grandi nomi dello star system
hollywoodiano, Gary Cooper, Ginger Rogers, Fred Astaire, con la disinvoltura
con cui si potrebbe parlare di un vicino di casa. Tutto è credibile, divertente
e attraente.
Poi però accade qualcosa, una
vena depressiva comincia ad attraversare la storia. A metà di Cafè society Allen sembra quasi
dimenticare gli ambienti e le riuscite situazioni che ha realizzato fino a quel
momento e si lascia andare ad un racconto che perde sapore e ritmo. La
rapidissima ascesa sociale di Bobby sembra una storia fuori dal contesto
narrativo creato nelle scene precedenti e ogni elemento del racconto sembra in
definitiva sganciato rispetto a tutti gli altri. Si comincia a prendere le
distanze dai due protagonisti, uno dei quali, l’affascinante Vonnie (Kristen Stewart), scompare del tutto. Quasi
ci si dimentica dell’intero racconto della storia d’amore dei due giovani, ma
il nuovo capitolo non coinvolge in modo altrettanto sostenuto nemmeno in quanto
a ironia.
Quando alla fine i fili della
storia si riallacciano rimane essenzialmente solo una vena un po’ nichilista.
Quella che poteva essere una simpatica commedia nemmeno troppo disimpegnata,
visto l’alto livello di realizzazione del contesto ambientale de sociale della vera
Cafè society degli anni ‘30, finisce col concludersi con il pessimismo
esistenziale di un finale metastorico.
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