di Mina Jane
In occasione dell'uscita il primo dicembre al cinema del film I Cormorani abbiamo raggiunto il regista Fabio Bobbio per quattro chiacchiere sul film e sul suo modo di fare cinema.
I cormorani è quasi un
racconto di formazione e d’avventura che si compone di splendide immagini,
sguardi fortemente comunicativi e suoni chiari e definiti, come ha scelto gli
ambienti in cui sviluppare le diverse circostanze della narrazione?
Il lavoro di ricerca delle
location è stata una delle fasi più lunghe del film, durata circa due anni.
Sono partito da un ambiente che conosco bene, il Canavese, in cui sono nato e
cresciuto. Questo è sicuramente stato un importante punto di partenza. Fin
dall’inizio, però, mi è stato chiaro che il mio interesse non era rivolto ad un
semplice lavoro documentaristico, ma una visione più elaborata del reale.
I due giovani interpreti si
muovono nel film con un’ingenuità e una spontaneità quasi primitiva e
selvaggia, come siete riusciti ad ottenere questo risultato?
Per la scelta dei protagonisti
abbiamo incontrato 150 ragazzi del Canavese. Questi incontri sono stati un
momento di investigazione molto importante, perché ho avuto la possibilità di
confrontarmi direttamente con la generazione che avrei poi raccontato nel film.
Matteo e Samuele sono stati da subito entusiasti di condividere questo
progetto, che ero convinto dovesse essere per loro una vera e propria
avventura. Nei due mesi precedenti alle riprese abbiamo lavorato insieme,
filmando i nostri incontri, ma senza provare nessuna delle scene.
Questo periodo è servito a Sam
e Matteo a prendere confidenza con me e la camera, a fidarsi l’uno dell’altro e
a condividere le nostre esperienze. Un momento necessario anche a me e al
reparto tecnico per stabilire le regole tecniche e formali che avremmo poi
rispettato nel film.
Uno degli obiettivi che mi
ero posto nello sviluppo del film era quello di preservare lo spirito originale
dei due ragazzi, l’istinto selvatico tipico di quella fase della vita: non
volevo che le azioni, le parole, i gesti di Samuele e Matteo fossero quelli
scritti da un adulto e interpretati da due ragazzi. Per questo, nel momento
delle riprese, ho preferito una “messa in situazione” piuttosto che una messa
in scena. Per Samuele e Matteo ogni giorno di ripresa era una nuova avventura,
una sorta di gioco di ruolo, in cui avrebbero potuto fare e dire ciò che
avessero voluto interagendo con la situazione che fittiziamente era stata
creata intorno a loro, seguendo però le poche regole che avevamo stabilito nel
periodo di prove.
Questo mi ha permesso di avere
un controllo costante dello sviluppo narrativo della storia, lasciando però la
massima libertà di improvvisazione ai personaggi. Il metodo si è andato perfezionando
durante la prima fase di riprese, e dopo pochi giorni di produzione Matteo e
Samuele hanno smesso di chiedersi se quello che accadeva in scena fosse frutto
di una scrittura previa o di situazioni reali: hanno semplicemente cominciato a
vivere davanti alla camera.
Tutto il film ruota attorno
a loro -corse, nuotate nel fiume, giochi, piccole avventure e prime scoperte
dell’età adulta-, i due ragazzi sembrano quasi isolati dal resto dell’umanità,
sono loro i cormorani?
I Cormorani sono una specie di
uccelli non autoctoni delle zone in cui è stato girato il film, ma che negli
ultimi anni hanno colonizzato la valle dell’Orco cercando di ambientarsi in un
nuovo habitat. Inoltre sono uccelli acquatici, sgraziati nelle movenze fuori
dall’acqua, e sono tra i pochi uccelli non impermeabili, quindi una volta
bagnati si devono asciugare al sole. C’erano tanti elementi che collegavano i
due adolescenti ai cormorani.
Durante le riprese, poi, in
una scena nella parte finale del film, i cormorani sono al centro di uno
scambio di scherzi che i due si fanno prendendosi in giro l’uno con l’altro. È
un momento importante per il rapporto dei due personaggi, e nella fase di
montaggio ho deciso che il titolo sarebbe rimasto questo.
Nella fotografia si
percepisce un inteso contrasto tra la dolcezza dei paesaggi naturali con le
loro armonie di colori, luci, suoni e prospettive, e la durezza a volte
dissonante dei paesaggi urbani, a quale dei due aspetti le interessava dare
maggiore risalto?
Mi piace pensare a I Cormorani
come un film che racconta frontiere: quella tra documentario e finzione, tra
infanzia e adolescenza. Se parliamo di spazio, la frontiera può essere intesa
come spazio di conquista: natura incontaminata in contrasto allo spazio già
conquistato dagli adulti. I due ambienti si alternano ed in alcuni momenti del
film sono presenti nella stessa inquadratura (penso al cemento e gli alberi, il
fiume e la diga), senza però mai essere spazio armonico ed omogeneo.
il film è distribuito da Strani Film in collaborazione con Mariposa Cinematografica.
per altre informazioni e il calendario delle proiezioni visitate
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